Recentissimamente un profilo Instagram che seguo, Città Pasolini Archivio, o Cittapasolini, creato e gestito da @silwallace e munito di un sito www: cittapasolini.com, che quindi non è emanazione diretta del Centro Studi PPP di Casarsa della Delizia, ha risposto a segnalazioni relative a una campagna pro-vita o anti abortista che citava direttamente l’autore.

Naturalmente ognuno è libero di dire la sua, ci mancherebbe. L’impressione che ne ricavo, abbastanza sgradevole, almeno per me, è il tono risentito, stizzito, acidino, adottato da Città Pasolini, che concludeva l’intervento, uno dei diversi post, peraltro argomentato, in netta polemica con il Gruppo “ProVita&Famiglia”, committente e forse addirittura autore della campagna in questione, con “giù le mani da Pasolini” e “denunciare questi abusi”, soprattutto il GIULEMANI e il DENUNCIARE.
Parola grossa, “de-nun-cia-re”, la useranno nel senso più morbido, ossia “segnalare con disapprovazione”, e quindi un senso certamente accettabile in un contesto di dibattito sia pure aspro, o nel senso legale /giudiziario? Dai toni di altri commentatori parrebbe più forte la seconda accezione, se non sto malinterpretando.
Al di là della stretta questione mi piacerebbe qui chiarire una linea di principio che difendo e faccio mia. “Di chi è un poeta?”
Se un poeta non desidera essere “usato” – che sia a sproposito o no è cosa troppo complessa perché un numero sufficientemente grande e “civilizzato” di umani si metta d’accordo, figurarsi se saprebbe farlo una corte di giustizia qual che sia o qualsivoglia, – ha solo una cosa da fare:
scrivere in una forma più agile possibile, nello spazio di un volumetto non superiore a 80-120 pagine, presumibilmente, un elenco di regole, il più possibile formali, per l’uso della sua eredità culturale, artistica, poetica, intellettuale e umana.
E sperare. Senza illudersi troppo.
Perché una volta morto il poeta, al quale chiedere se gli fa piacere o no mettere la faccia in altrui battaglie, c’è ben poco da fare. La poesia (e il poeta) sono parte del mondo e nel mondo vanno facendosi preda di ogni utilizzo. Fa parte semplicemente delle situazioni umane. Sto naturalmente parlando delle idee e ideologie, non del tristo e squallido sfruttamento economico di un’opera, cosa per cui i parenti e gli eredi di ogni poeta mostrano generalmente carature niente affatto poetiche né, oso dire, umane!
Ma delle idee e della poesia… sulle idee e sulla poesia…
bisogna farsene una ragione. La poesia serve per resistere alla follia del mondo, ma non è invulnerabile alla follia del mondo! Ci sarà sempre qualcuno che “tirerà il poeta per la giacca” e qualcuno che si scandalizzerà per questo. Il brutto secondo me, il nocciolo del problema, è trattare un poeta e le sue parole come se fossero un bene o risorsa materiale, un nanetto o un vaso da giardino di cui ognuno invoca o pretende l’esclusiva proprietà e sovranità. E solo un inarrivabile cretino potrebbe pensare che un volumetto di istruzioni per l’uso, ancorché emanato del poeta stesso, possa fermare il mondo in carriera. Figurarsi i litigi politici fra presunti custodi dell’eredità morale e ideale. Per una vulgata accettata e accettabile basta la massa dei critici, con tutti i loro innegabili difetti, peraltro.
Questo atteggiamento mi pare forse più ridicolo di sentire tirare per la giacca un poeta. Con questo, piena pace a Pasolini. A CittàPasolini che è e resta una bella voce, iconograficamente ricca, nel panorama; e, va da sé, ai Provita!